ANDIAMO A QUEL PAESE

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Salvo e Valentino, sono due amici che rimasti disoccupati, abbandonano la grande città per rifugiarsi nel piccolo paese d’origine, Monteforte, dove la vita è meno cara ed è più facile tirare avanti. L’impatto con la nuova realtà non risulterà per nulla facile: i due si ritroveranno a vivere in un contesto diverso da quello che si erano immaginati: un paese pieno di anziani, da cui però è impossibile non poter trarne beneficio. Ogni anziano rappresenta una pensione, un bel bottino per i due disoccupati…

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I COLLEZIONISTI DI OSSA (ROTTE)

C’era una volta un filmetto italiano, non troppo pretenzioso. Piacevole tuttavia. E pure divertente, con protagonisti più che verosimili che si destreggiano tra problemi lavorativi e familiari ma che sembrano scaricare tutte le loro frustrazioni in quel rettangolo in cui tutto è concesso che si chiama campetto di calcio. Il film in questione è Amore, bugie e calcetto, del 2008, per la regia di Luca Lucini (il regista, tra le altre colossali baggianate, del capolavoro di arte contemporanea Tre metri sopra il cielo e di un altro film in cui ha concesso ad una sopravvalutatissima Stefania Sandrelli di rimettere il naso fuori di casa; povero lui!). Ma Amore, bugie e calcetto in parte funziona perché fa comprendere come il tipo di personalità di un individuo emerga da come si sta in campo. Anche da quello, soprattutto da quello. Allora abbiamo lo spaccone millantatore, che non vuol passare mai la palla e la vuole sempre sui piedi. L’altruista, che invece non riesce a tenerla tra i piedi se non serve. Il timido, che non vede l’ora di darla via. Il discreto, che fa bene ma non ama mettersi in mostra. Il leader, pronto ad usare bastone o carota con i compagni. Il sincerotto, che ammette sempre, anche troppo, ogni propria deviazione, minima e fortuita. Il “cazzo confuso”, che potrebbe pure affrontare un terremoto pensando di fronteggiare i postumi di una banale sbronza e continuando a correre come prima, più di prima. Un film che gioca sugli stereotipi insomma, ma più che plausibili. E in questa pellicola è presente un personaggio, interpretato da Giuseppe Battiston, bizzarro, goffo, apparentemente impacciato, grasso, malinconico e sempre spossato. Con due passioni ruggenti tuttavia: le punizioni, in occasione delle quali entra in campo per battere e segnare, sistematicamente, ogni volta, e scrivere, soprattutto recensendo ogni partitella tra amici. Oggi cerchiamo di incarnare l’immagine di questo personaggio dal pulpito di questo sito, stilando le pagelle degli eroi che si sono sfidati ieri al palazzetto a Nissoria. Indomiti, coraggiosi, squazoni!

MARIO, 7. I suoi piedi sembrano segnare un po’ meno delle “dieci e dieci” questa volta. L’”Engordido” di culinaria memoria divora molti meno gol del solito (o almeno quelli indigesti) e la mette dentro quando può, se può. Meno falli, meno urti inutili. Ascolta i compagni e accetta le critiche, per poi dimostrare loro che certi stop e tiri al volo con torsione non li sa fare solo Pazzini. Gol e sostanza. Prandelli sembra aver sbagliato il Mario giusto per l’attacco. Snobbato.

CAMPAGNA A., 6,5. Odioso, quando tenta il tiro ad ogni costo, anche sotto tortura, come se la palla non volesse passarla a prescindere. Sollievo, quando quei tiri, a volte, gli riescono e alla grande (come la rete da centrocampo). Croce e delizia della squadra. Dovrebbe muoversi di più e gattonare di meno, così da evitare la nevrosi ai compagni con quel solito sorrisino da “di unni mi chiova mi sciddica”. Causa di infarto.

VITO, 7,5. Ingrana la marcia a poco a poco. Sembra essere evanescente all’inizio, poi, quando gli altri calano, lui mette la quinta e corre per tutti, facendosi perdonare il ritardo alla Angelo Campagna. Svaria da destra a sinistra, dall’attacco alla difesa. Recupera palloni, anche quelli che perde. Si sbatte senza timori reverenziali, non trascura nessun pallone e non tira mai indietro il piede. Sempre agitato, anche in campo. Iperattivo.

GIUSEPPE, 8. È abituato a fare il lavoro più pulito. Fa pure quello sporco questa volta. C’è sempre, anche quando non si vede. Interpreta le due fasi con molta generosità, anche se non al 100%. Gioca con e per l’orgoglio dello straniero in esilio d’amore. Si fa quei bei 100 e oltre km solo per beccarsi una dozzina di pedate da parte del mastino di razza Santaghé, ma rimane sempre in piedi. Mussomeli è tutta con lui, soprattutto Enrico. Patriota.

GABRIELE, 6,5. Per buona parte della gara crede di essere pedinato da qualcuno. Improvvisamente nota una presenza schizzare accanto a lui nel tentativo di togliergli la palla senza però trovarla e lì capisce che lo stalker è quel pezzo di Santaghé. In difesa c’è sempre, a fronteggiare tutto e tutti, autogol a parte. Per il resto gioca più lontano del solito dalla calca ed è abulico nel ruolo di assistman e tiratore. Poca corsa. Balotelli.

NICO, 6,5. Non trancia le gambe a nessuno. E questo fa già notizia, vista la partita molto muscolare ed energica. Ascolta consigli e si impegna, ma potrebbe far meglio. A quell’ora, senza aver ancora mangiato, al posto dei compagni vede tanti polpettoni farciti con formaggio, prosciutto e pisellini. Su ogni pallone perso si appella alla fame anziché riprenderselo. Biafra.

LAMBUSTA, 8+. Probabilmente il migliore in campo. Si scuote tutto sino ad impazzire per l’immobilità degli altri. Impartisce consigli e direttive al Miceli e sguinzaglia quel Maremmano di Santaghé consigliandogli di mordere senza pietà (quest’ultimo, naturalmente, non se lo fa dire due volte). Per il resto punta sempre l’uomo e il sinistro è quello dei tempi del liceo, con Adamo e Maurizi allenatori di lusso. Segna anche da posizioni improbabili piegandosi a metà. Contorsionista.

ALESSIO, 6,5. Il maratoneta prolifico che conoscevamo sembra essere un ricordo sbiadito. Le uniche impronte che lascia sono i quattro, anzi, ventiquattro gol divoratosi davanti la porta, senza nemmeno il portiere, sui calcio d’angolo di Lambusta. Corre, per carità, anche tanto. Macina chilometri e chilometri, ma i gol non fatti ricordano quelli di Robinho nel campionato 2010/2011, roba, eventualmente, da capocannoniere. Sprecone.

GIANVITO, 7. Non il solito. Ci aveva abituato troppo bene, ma sembra non essere in formissima questa volta. Sarà il caldo asfissiante, un Santoro alle calcagna altrettanto asfissiante (se non di più) ma sembra non riuscire a beccare la porta. Da film la scena finale, nella quale scippa il pallone dai piedi del meno fortunato fratello, esibendo sottovoce questa frase: “Ma vafanculu!”. Peccato che il fratello fosse suo compagno di squadra e non l’avrà presa tanto bene. Ingrato.

SANTAGHE’, 12. Ricordate il “cazzo confuso” di cui parlavamo all’inizio, che riesce a sfidare il terremoto inconsapevolmente? No tranquilli, quel killer di Santaghé non è affatto “cazzo confuso”, è direttamente il terremoto. Quel dodici è solo il grado della scala Mercalli. Impossibile da valutare altrimenti. Dicono che un suo calcio al pallone a Nissoria crei un’esplosione nucleare in Giappone. Dicerie forse. Ma Santoro comincia a crederci sul serio. Katrina.

 

 

 

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LA MOSSA DEL PINGUINO

 

LA MOSSA DEL PINGUINO

E’ il sogno olimpico di quattro uomini disagiati che scoprono per caso il gioco del curling e si convincono di poter partecipare alle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 dove l’Italia, paese ospitante, avrà di diritto una squadra qualificata. S’ingegnano in allenamenti improbabili, trovano scappatoie alle regole, provocano gli avversari e finiscono per diventare campioni italiani, acquisendo così il diritto di partecipazione alle Olimpiadi. Per riuscirci dovranno però diventare uomini migliori. La loro è una storia di riscatto individuale e familiare, prima ancora che sociale.

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